Blue Whale Challenge: La Corte di Cassazione si esprime sulla gravità e rilevanza penale del macabro “gioco”

Con sentenza n. 57503 del 22 dicembre 2017 (ud. del 23 novembre c.a.) la Cassazione Penale Sez. V, si pronuncia in merito alla configurabilità del delitto d’istigazione al suicidio e adescamento di minore nell’ambito di un “gioco” venuto alla ribalta nel 2016 chiamato Blue Whale Challenge (“balena blu”).Il “gioco”, divenuto allarme sociale, rappresenta la degenerazione dell’utilizzo di internet e dei social network attraverso i quali il così detto “curatore”, operando una sorta di manipolazione mentale o plagio[1], propone ai giovani partecipanti una serie di prove-50 regole- autolesionistiche, sempre più difficili, fino a richiederne il suicidio.

L’ultima regola, la cinquantesima del “Blue Whale”, recita: «Saltate da un tetto e prendetevi la vostra vita».

La condizione per partecipare è che del “gioco” i genitori devono rimanere all’oscuro e che a chi impartisce le regole, il “curatore”, siano fornite foto o video a testimonianza che le azioni sono state eseguite a riprova di fedeltà e obbedienza.  

La vicenda, sottoposta al giudizio della Cassazione, riguarda la richiesta di annullamento dell’ordinanza che conferma il sequestro probatorio del telefonino e di altro materiale informatico del presunto istigatore per i rapporti intrattenuti, nell’ambito del gioco, con una minorenne alla quale aveva inviato messaggi ritenuti, dai giudici del riesame del Tribunale di Roma, integranti i reati d’istigazione al suicidio ex art.580 c.p. e di adescamento di minore ex art. 609-undecies c.p.

In particolare un messaggio le intimava: “Manda audio in cui dici che sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni”.

Nel caso in esame la ragazzina si era inflitta piccole lesioni ma non aveva tentato il suicidio dunque, gli Ermellini, perimetrando correttamente la configurabilità dei reati contestati al presunto “curatore”, hanno escluso il reato di istigazione al suicidio ex art. 580 c.p. [2]. in quanto, come da sentenza, “La disposizione citata punisce l’istigazione al suicidio a condizione che la stessa venga accolta e il suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima. L’ambito di tipicità disegnato dal legislatore esclude, dunque, non solo la rilevanza penale dell’istigazione in quanto tale, ma anche dell’istigazione accolta cui non consegua la realizzazione di alcun tentativo di suicidio ed addirittura di quella seguita dall’esecuzione da parte della vittima del proposito suicida da cui derivino, però, solo lesioni lievi o lievissime”.

E aggiunge: “La soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell’evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo poiché, per l’appunto, non è punibile neppure il più grave fatto dell’istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve.

Tuttavia, la Corte di Cassazione, ha rigettato il ricorso in quanto, al pari dei giudici del riesame, ha riconosciuto la condotta dell’indagato riconducibile alla fattispecie di adescamento di minorenne di cui all’art.609 undecies c.p. che testualmente recita: “Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe  o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. ”

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[1] Il “plagio” nell’ordinamento italiano era considerato  reato disciplinato  dall’art.603 c.p. secondo cui“chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni” La Corte Costituzionale, con sentenza 9 aprile 1981, n. 96, ha dichiarato tale norma incostituzionale per indeterminatezza dei reati. La sentenza, fra le altre cose, affermava che i comportamenti descritti nel reato di plagio erano “irreali o fantastici o comunque non avverabili”, che “devono considerarsi inesistenti o non razionalmente accertabili” e che “non si conoscono né sono accertabili i modi con i quali si può effettuare l’azione psichica del plagio né come è raggiungibile il totale stato di soggezione che qualifica questo reato”.

[2] Art.580 c.p. . – Istigazione o aiuto al suicidio
Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero  ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell’articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d’intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative  all’omicidio.

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Corte di Cassazione – sez. V penale – sentenza n. 57503 del 22-12-2017

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