Giurisprudenza e consulenze tecniche in mediazione: intervista al Dott. Massimo Moriconi

imgconciliazionecivileDi Orsola Arianna

L’Art.8 comma quarto del Decr.Lgsl.28/2010 recita: “Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.” Nulla dice la normativa su come la perizia debba svolgersi, su come procedere alla nomina del consulente e stabilirne il compenso, su chi debba formulare il quesito e soprattutto su quale efficacia possa avere la perizia e se sia utilizzabile nell’eventuale successivo giudizio. La giurisprudenza sta colmando il vuoto normativo.

Il dottor Massimo Moriconi, giudice della XIII sezione del Tribunale di Roma, noto per la sua sensibilità nei confronti della mediazione, ha emesso numerosi provvedimenti in materia, alcuni dei quali decisamente innovativi. Sua è la prima ordinanza di producibilità in giudizio di una perizia svolta in mediazione. A lui rivolgo alcune domande sugli accertamenti tecnici in mediazione.

Dottor Moriconi, ritiene che la sintetica previsione normativa sia stata inizialmente sfavorevole al ricorso alle consulenze in mediazione?
Paradossalmente una eccessiva perimetrazione normativa è spesso controproducente perché impedisce alla giurisprudenza di elaborare, migliorandole con la continua esperienza pratica, interpretazioni che se non stravolte da continue modifiche normative fissano comunque e meglio l’ubi consistam di un istituto giuridico complesso (credo che l’esempio più folgorante di ciò che dico sia dato dal primo incontro informativo che ha assunto per merito della giurisprudenza fiorentina, accolta con unanime successo, da tutti i tribunali d’Italia, altra connotazione rispetto alla lettera, invero non chiara, della legge)

Con Sua ordinanza del 17 marzo 2014, per la prima volta è stato ritenuto producibile in giudizio un accertamento tecnico svolto in mediazione. Come è giunto alla decisione di ammissibilità?

Il nostro ordinamento ripudia, come regola, le prove formali (per intenderci unus testis nullus testis), il giudice può formare il suo convincimento da qualsiasi fonte di prova, anche atipica purché tale percorso valutativo decisionale sia coerente, motivato, non vietato da norme di legge (e qui non vi è nessuna norma che lo vieta), e, soprattutto, ragionevole e convincente. E’ evidente che l’utilizzo della relazione tecnica (in mediazione) nella causa presuppone che le parti non si siano accordate e vi è la possibilità che taluna non concordi sul contenuto e conclusioni della perizia.
Così come farebbe nella causa, il giudice deve valutare in concreto la relazione del perito in mediazione, e se è formalmente inaccettabile (per esempio per violazione del contraddittorio, o perché ha assunto contra legem dichiarazioni delle parti rilevanti et similia) ovvero, nel merito, errata, superficiale, carente la disattende non perché è stata fatta in mediazione ma perché non è idonea a fondare il suo convincimento.

Era la prima volta che, nella sua esperienza, una parte produceva in giudizio un accertamento tecnico svolto in mediazione?
Non direi, ma questo era un caso esemplare, come accade di incontrare a chi tratta moltissime cause. Prima o poi arriva “la tempesta perfetta”, c’erano tutte le condizioni per affrontare il caso, la controparte ha infatti effettuato una puntale specifica serie di contestazioni, piuttosto serie e ben motivate.

Con ordinanza del 13 marzo 2015, Tribunale di Parma, estensore Chiari, il Giudice ammette una consulenza tecnica svoltasi in mediazione alla presenza di una sola parte (contumace parte invitata), sulla base della quale dispone il sequestro di cambiali ed il rinvio alla Procura della Repubblica degli atti per la verifica del reato di usura. Secondo il Giudice, l’efficacia della perizia non è inficiata dalla contumacia di una parte, poiché il perito è stato incaricato da un terzo estraneo alla lite, il mediatore. Anche con sua ordinanza del 9 aprile 2015, lei ha ammesso in giudizio una perizia svolta in mediazione in contumacia di una parte.
Si aprono nuovi scenari: il fatto che il perito sia nominato dal mediatore lo rende “perito delle parti” e rende attendibile la perizia anche in mancanza di contradditorio tra le parti?
Qui la situazione è del tutto diversa. La consulenza in mediazione senza la parte convenuta non è inammissibile, perché il contraddittorio non consiste nella necessaria presenza della controparte ma nel fatto che sia stata messa in condizione di partecipare. Da qui a fondare la sentenza ce ne corre…la presenza di istante e convenuto è una garanzia di rispetto delle regole e di controllo dell’attività del mediatore. Solo in questo caso sono le parti che assegnano i quesiti nel caso di una sola parte è il mediatore. Non dimentichiamoci che la serietà degli organismi e la professionalità e competenza dei mediatori è un punto dolente della mediazione. Se il mediatore in questo (ultimo) caso non è all’altezza (ad es. perché non sa niente della materia oggetto di mediazione) l’incarico può nascere viziato e sbilenco (consulente inadatto e quesito sbagliato). Inoltre essendo una sola parte che paga, se il consulente (ed il mediatore) non è persona degna, si può creare una indebita aspettativa di risultato.
La consulenza con una sola parte se è fatta bene e con serietà è utile perché può, una volta comunicata alla controparte assente, riannodare su basi concrete ed obiettive, il dialogo con la parte assente che potrebbe decidere di partecipare alla mediazione. A mio avviso nella trasmissione della consulenza il mediatore dovrebbe avvertire la parte assente destinataria che può comunicare all’organismo, entro un breve termine, se vuole presentarsi in mediazione prima che sia chiusa
Ed inoltre il mediatore fonderà, come regola, su questa consulenza una proposta

La sua ordinanza del 9 aprile 2015 si riferisce ad una mediazione svolta nel periodo antecedente al D.L. N.69/2015. Allora non era previsto il “primo incontro di mediazione” ed era quindi possibile che la mediazione si svolgesse in contumacia di una parte. Lo sbarramento rappresentato oggi dal primo incontro di mediazione, nel corso del quale le parti sono invitate a comunicare o meno l’adesione alla prosecuzione della mediazione, può cambiare questo scenario?
Ho ampiamente motivato circa l’assenza di cause ostative sia in termini logici che giuridici anche all’esito dell’attuale normativa. Qui (nell’incontro informativo) non c’è una parte che si oppone alla prosecuzione, al contrario è l’unica parte presente, e proprio essa, a chiedere che si prosegua, effettuando consulenza. Se poi le parti ci sono e solo una si oppone, la mediazione può proseguire con quella sola parte, perché scopo della (non chiara) modifica normativa era quello di evitare una mediazione a tutti i costi, forzata dal mediatore, anche quando nessuna della parti volesse farla.

Nella citata ordinanza, Lei mette bene in evidenza l’uso che il Giudicante può fare della perizia, formulando una proposta ex art 185 bis c.p.c e quindi dando un senso ed una utilità alle consulenze svolte in mediazione. Qual è il limite di utilizzabilità della perizia in mediazione nell’ambito di un giudizio?
Io sono un ricercatore, sperimento provo e valuto. Al momento del mio percorso, direi utilizzo pieno, sia pure come mezzo di prova atipica, se la consulenza è accettabile dal punta di vista formale e contenutistico; utilizzo limitato, integrativo di altri mezzi, o base di proposta ex art. 185 bis in caso di assenza della parte convenuta in mediazione
Una cosa deve essere ben chiara: in questa fase purtroppo ancora di non adeguata diffusione e percezione da parte di tanti (magistrati compresi) del valore della mediazione, è necessario “aiutare” l’istituto anche con qualche forzatura. Una chiusura assoluta alla producibilità ed utilizzo della relazione in mediazione nella causa, scoraggerebbe le parti, per timore di spese inutili, e quindi affosserebbe la consulenza in mediazione, il cui scopo, è bene rammentarlo benché sia ovvio, non è quello di offrire uno strumento di valutazione e decisione al giudice, ma di favorire efficacemente il raggiungimento dell’accordo fra le parti.

In data 16 luglio di quest’anno ha emesso un’ordinanza che invitava le parti a svolgere una mediazione volontaria in sede di accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis. Una proposta coraggiosa, vista l’opinione diffusa di molti legali nei confronti della mediazione. Quali sono state le valutazioni alla base di tale proposta?
Riguardava una materia (RCA) nella quale molto di frequente l’aspetto fondamentale è proprio l’accertamento delle conseguenze dell’evento dannoso sulla persona (e quindi invalidità temporanea e permanente, spese etc.)
L’art.696 bis mette fuori gioco la mediazione obbligatoria e demandata.
Il legislatore punta su di esso per le cause di responsabilità medico-sanitaria, abrogando per esse la mediazione obbligatoria. E’ a mio avviso un errore. Meglio avrebbe fatto a favorire la mediazione (ma questo Governo tutela solo i suoi “figli”. Da cinque anni la mediazione attende la realizzazione del credito di imposta, mentre la negoziazione assistita, istituto di scarsa o nulla utilità, l’ha già avuta senza neppure una verifica di efficacia)
Il 696 bis è quasi sempre inutile in questa materia per varie ragione, fra le quali che il consulente nominato dal giudice deposita sempre la relazione per essere compensato, e le parti di conseguenza non si accordano più. Nella mediazione si paga prima ed a prescindere.
In quel caso, ho avvertito la disponibilità delle parti ad accogliere il mio suggerimento ad andare in mediazione: ho raccomandato solo che scegliessero un buon organismo. Avrebbero fatto presto e speso meno. Così hanno fatto ed infatti si sono accordate.

Le sue ordinanze sono sempre ben motivate e trasmettono, a chi le legge, la percezione di un attento studio del caso e di un’approfondita conoscenza della mediazione. In quest’ultima ordinanza, ha consigliato alle parti di rivolgersi ad un Organismo che desse garanzie di serietà ed in cui operassero mediatori esperti. Ancora nell’opinione pubblica emerge il timore di una formazione non sempre eccellente del mediatore. Ritiene che questo timore possa indurre i magistrati a non inviare le parti in mediazione?
Sì ed è precisamente il mio cruccio, questa parte del percorso non lo governo. Si era pure pensato di affidare al magistrato la scelta dell’Organismo. Scelta che avrebbe caricato il magistrato di ulteriori responsabilità e pensieri, ma in fondo è quello che accade con la scelta del C.T.U.

Basta effettuare una rotazione fra organismi che dia prova concreta di affidabilità
Purtroppo così non è.
Ad onor del vero è anche necessario dire che su alcuni aspetti, l’organismo di mediazione brancola nel buio: a parte il primo incontro, che la giurisprudenza ha chiarito ormai a sufficienza, rimangono punti oscuri e dubbi sulla presenza delle parti/avvocati e l’ammissibilità delle deleghe, e sulla verbalizzazione. Ad ogni convegno cerco di chiarire questi punti, ma occorrerebbe giungere presto ad una soluzione un po’ più diffusa, univoca e condivisa

Ha mai partecipato ad una mediazione?
No.

Riterrebbe utile un percorso di formazione comune per mediatori e magistrati?
Non reputo praticabile (e quindi specifico che non di utilità/inutilità si tratta) questa possibilità. Tante cose sono utili, in astratto. In concreto, alle condizioni date, all’attuale stato dell’arte non è una cosa fattibile. Quantomeno non in tutte le realtà geografiche. Alcune come Milano e Torino sono più efficienti ed hanno sviluppato un livello di consapevolezza che non è ancora condiviso su tutto il territorio.

fonte: Blogconciliazione.com