L’OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO

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Tratto dal libro “L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario – Nascita, evoluzione e chiusura di una struttura” di Caterina Catalfamo. (ISBN 9788898212347)

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Mente animo captis.
Damnatis legibus aeque.
Apta domus, magna haec.
Studiosa consulti arte”

Questa la grande scritta latina che domina sopra il secondo cancello interno dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona P.G., una delle seii strutture presenti in Italia nel quale, secondo il codice penale vigente, avviene l’internamento dei soggetti non imputabili affetti da infermità di mente, sottoposti a misura di sicurezza.

Una scritta grande, impossibile non vederla, posta lì quasi a voler comunicare a chiunque voglia o debba oltrepassare quel cancello che quello è il confine oltre il quale si va dalla normalità all’alienazione.
All’esterno di quel cancello, la normalità anche estetica.

L’OPG di Barcellona Pozzo di Gotto è ospitato in una struttura elegante in tardo stile Liberty, con completa visione dell’esterno, grazie ad un ingegnoso sistema alle finestre che ne mimetizza le sbarre.

E’ un istituto che insiste su una superficie di 58 mila metri quadri, costruito agli inizi del 1913/1914 e inaugurata il 6 maggio del 1925 per volontà di Vittorio Madia (primo direttore e di cui l’Istituto porta il nome) con “l’imprimatur” del nuovo governo fascista.

Oltre quel cancello, l’alienazione: è da quel cancello, infatti, che si accede agli otto padiglioni dove si trovano ricoverati in regime di internamento i soggetti con problemi psichiatrici e con probabilità di commissione di reato.

Nato come “contenitore” dove nascondere non ammalati psichiatrici ma mostri di cui vergognarsi, l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (art. 222 c.p.), come inteso oggi, è superato.

Un tempo chiamato manicomio giudiziario (dal gr. manía “pazzia” e komêin “curare”), era concepito come luogo di ricovero dei malati di mente e come tale ignorato dall’opinione pubblica, a cui non interessava minimamente né la storia né la sorte di quei reclusi considerati “pazzi criminali” e che apparivano come soggetti “incomprensibili e pericolosi”, motivo di vergogna perfino per le famiglie di origine.

In sostanza altro non era che luogo per la gestione punitiva della follia criminale.

Solo a seguito di fatti inquietanti come la morte di una donna, Antonietta Bernardini, avvenuta il 31 dicembre 1974 nel manicomio giudiziario di Pozzuoli dopo che era bruciato il materasso su cui era legata, l’opinione pubblica si scosse e si aprì il dibattito intorno ai manicomi giudiziari.

Con la legge 26 luglio del 1975, n. 354 (art. 62) viene modificata la denominazione “manicomio giudiziario” in “ospedale psichiatrico giudiziario”.ii volendo intendere quale luogo di cura, luogo ove il ricoverato non è più solo ed esclusivamente un recluso, il rifiuto della società, bensì un paziente da curare.

Tuttavia, nella sostanza nulla è cambiato: l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario, salva l’isolata esperienza di Castiglione delle Stiviereiii, è rimasto il luogo di segregazione dove, con ipocrisia, si è voluto somministrare attività terapeutica riabilitativa e al contempo garantire la sicurezza pubblica.

La questione recentemente sollevata della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia ed efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, presieduta dall’On. Ignazio Marino, ha spinto nella direzione di un’ accelerazione del processo di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, iniziato con la riforma del 1978 che abolì i manicomi.

Del resto, come precisato dalla stessa Corte Costituzionale, “le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute del paziente: e pertanto, ove in concreto la misura coercitiva del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario si rivelasse tale da arrecare presumibilmente un danno alla salute psichica dell’infermo, non la si potrebbe considerare giustificata nemmeno in nome di tal esigenze”.

In questo quadro di emergenza si pone la recente legge 9/2012, legge sul superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, nell’ottica, forse, che una nuova organizzazione dei luoghi dove eseguire la misura di sicurezza possa garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona.

Il timore è, però, che questo non risponda all’esigenza di cura di cui tali soggetti hanno bisogno.

Il legislatore avrebbe dovuto procedere con gradualità, risolvendo prima tutte quelle incognite che fanno dubitare oggi della sua riuscita.

Ciò che, invece, si deve tenere presente è che superare gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari non vuol dire superare la malattia mentale, che esisterà sempre; al contrario, investire nella prevenzione e nella individuazione precoce della malattia mentale è l’ unico vero modo per superare gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e le strutture che li sostituiranno.

(Mio articolo in Diritto & Diritti)

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i Aversa (Caserta), Montelupo Fiorentino (Firenze), Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), Castiglione delle Stiviere (Mantova), Reggio Emilia e
Pozzuoli.

ii Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) sono stati istituiti in Italia nel 1975 con la riforma dell’ordinamento penitenziario e con il relativo
regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 431/1976. Ai sensi dell’art. 62 commi I e 2 L. 26.07.1975 n. 354 e dell’art. 98 d.p.r. 24.04.1076 n. 431 la
dicitura “Manicomio Giudiziario” è modificata in “Ospedale Psichiatrico Giudiziario”. Questa nuova etichetta appare, almeno formalmente, più in
linea con le recenti evoluzioni della psichiatria incapace inizialmente di avere un atteggiamento di tipo medico giacchè non si conoscevano ancora
sistemi terapeutici, fisici o farmacologici idonei.

iii L’OPG di Castiglione delle Stiviere ha da sempre avuto un’organizzazione esclusivamente sanitaria , senza agenti di polizia giudiziaria, in quanto la
struttura risulta essere il frutto di una convenzione stipulata tra l’azienda ospedaliera “Carlo Poma” di Mantova e il Ministero della Giustizia.
iv Sent. Corte Cost. n. 253/2003